La furia del combattimento ci travolse. Grualdo e Rebecca, fianco a fianco, misero a segno i loro colpi nonostante combattessero alla cieca. Volarono schizzi di sangue dal corpo martoriato della malefica creatura che s'era lanciata con maggior impeto contro di noi ma era finita circondata. Lo Sparviero, benché non guardasse il mostro, l'aveva superata fingendo di attaccare la sua compagna, poi con una improvvisa torsione le menò un fendente alle spalle aprendole la schiena, e la abbatté. Allo stesso tempo Adeone, pervaso da un sacro furore roteò la spada e, guidato dall'istinto e non dagli occhi, la calò sulla immonda femmina strappandole un urlo di dolore. Essa si voltò di scatto per fronteggiare Bon Habibulo che intanto l'aveva aggirata per colpirla al fianco. Il sacerdote era l'unico con gli occhi aperti, era l'unico che, senza timore alcuno per le pietrificanti conseguenze, osservava le mostruose creature infernali. Ma la medusa, sbilanciata dal colpo di Adeone, fu un facile bersaglio per Bon Habibulo che le assestò una pesante mazzata sulla tempia. Colpita a morte, stramazzò al suolo prima di riuscire a guardarlo. Anche Peloter fronteggiò impavido la sua avversaria e tenendo gli occhi bassi le assestò un colpo alla spalla. La megera digrignò i denti e i serpenti sulla sua testa si agitarono, fremendo per il dolore. Non ebbe il tempo di reagire. Prima fu raggiunta al petto da uno strale partito dall'arco di Finn. L'istante dopo un fulmineo dardo luminescente la raggiunse nel pieno del petto, spegnendo per sempre la sua immonda vita.
L'istante dopo realizzammo che le nostre nemiche erano tutte sconfitte e sulla pianura innevata calò il silenzio. Solo a quel punto ci rendemmo conto che il dardo magico non era partito dalle mani del nostro compagno Umba, come ci saremmo aspettati. Scrutammo la nebbiosa pianura circostante fino a quando Rebecca scorse, a circa una trentina di metri da noi, tre figure umane, parzialmente offuscate della nebbia.
Il trio era strano. Il più alto sembrava portare sul capo un elmo con un pennacchio piumato rosso, ed era ben piazzato e rivestito da una armatura di foggia esotica. Il secondo, più basso e ingobbito, sembrava uno straccione il cui capo era sovrastato da una sorta di struttura lignea che gli spuntava da dietro la schiena, come una scheletrica coda di pavone da cui pendessero ninnoli di natura irriconoscibile. La terza infine era una bassa creatura completamente incappucciata e avvolta in un mantello lercio e scuro. Solo un orrendo naso, spropositato e gibboso, fuoriusciva dal cappuccio calato. La mano del gobbo si alzò, diretta verso di noi, in un inequivocabile segno di saluto.
Rebecca risponde incredula al saluto di uno dei tre stranieri, il deforme che, a dispetto delle apperenze, mostra di darci il benvenuto. Mentre fa ciò mormora una preghiera di ringraziamento al Plenipotente. Peloter scruta le tre figure in silenzio, rispondendo al saluto con un diffidente cenno di capo, gli occhi sono in cerca di particolari o indizi che gli possano permettere di capire cosa ha davanti e la natura delle loro intenzioni, automaticamente la destra sfiora l'impugnatura dell'arma.
Non appena il gobbo si mosse, anche la bassa creatura incappucciata si mosse goffa ma rapida, rimanendo sempre al suo fianco.
Il gobbo avanzava nella neve, e Peloter osservandolo comprese molte cose: era giovane, ma deforme e gobbo, eppure dietro l'abbondante e lercia chioma di capelli guizzavano occhi vivaci e molto intelligenti. Notò anche che il palco che si protendeva sulla schiena era provvisto di un incalcolabile numero di ammennicoli di natura minerale, vegetale e animale che tintinnavano debolmente ad ogni passo. La creatura al suo seguito era un'altra bizzarria non da poco. Bassa come un bambino, aveva movenze ben poco umane, e incedeva come una strana bestia dinoccolata e sconocchiante che seguisse il suo padrone affrettando il passo corto, per non farsi lasciare indietro. L'acuto sguardo del nostro compagno e maestro delle arti del sotterfugio non colse però alcun segno di ostilità né nel basso e bizzarro servo, né nel gobbo e ancor più bizzarro - e sporco - padrone. Scrutando infine l'uomo alto e impettito, Mario, vide un atteggiamento fiero e orgoglioso, ma non dava alcun motivo di sospettare trucchi o imminenti azioni ostili.
E qualche istante dopo, quasi in risposta alle sue preghiere, un soffio di vento - vento che era stato assente per tutta la mattina - spazzò via per pochi istanti la nebbia dal campo permettendo a Rebecca, nonostante la distanza, di vedere in profondità negli occhi dell'uomo alto e impettito. Nel suo sguardo scorse qualcosa di più del semplice orgoglio guerresco, una vena di timore, una stilla di tristezza, un bisogno insoddisfatto. Poi il vento cessò e la nebbia tornò a sfumare i dettagli della lontana figura, lasciandole solo un vago senso di disagio per un contatto prematuramente interrotto.
Guardo Umba Kini perplesso. Accetto il suo dono ma mi riprometto di chiedergli il perché quando saremo soli.
" (Alessio)Adone si presenta e dopo i convenevoli lascia fare alle figure, suggerisce poi di esplorare il piccolo edificio e di accendere un fuoco per parlare del da farsi.
Rebecca, dopo il saluto nei confronti della figura gobba, attende che i nuovi venuti si avvicinino. La proposta di Adone è ben accetta.
Lo Sparviero resta più guardingo, e suggerisce di controllare bene (ed eventualmente 'bonificare') l'esterno e poi andare in esplorazione nel tempio. Appena possibile cerco di prendere Adone a parte per chiedergli chi siano i suoi 'amici'..
Umba suggerisce di riposare e dopo bonificare il perimetro, per poi esplorare l'interno del tempio.
Mario aiuta nell'esplorazione del perimetro esterno.
finn anche aiuta, attenta che non ci siano trabocchetti. e riprende le frecce dai corpi delle meduse morte senza allontanarsi dal gruppo principale
Umba, naturalmente, non lasciò che Plarmir il gobbo osservasse i guanti fatati che aveva consegnato a Rebecca. Adeone sfruttò la calma per salutare i compagni che non vedeva da qualche tempo. Un lieve venticello iniziava a liberare la pianura e la nebbia si diradava. Le tre nuove figure si avvicinarono e le osservammo bene. Il più alto era un pezzo d'uomo, mentre il gobbo puzzava incredibilmente e il suo servitore, alto non più di un metro, si rivelò, alla luce e data la vicinanza, come un creatura orrida e non propriamente umana.
Ci presentammo, anche loro si presentarono e ci sembrò naturale riprendere fiato dopo il combattimento e discutere con loro sulla situazione. Alla fine decidemmo di perlustrare con attenzione l'esterno, compiemmo un giro di tutto il perimetro del vecchio tempio, rimanendo ad una certa distanza dalla struttura, per accertarci che non ci fossero né trabocchetti né altre creature in agguato, nascoste sotto un cumulo di neve o dietro una statua. Le statue... erano decine e decine, sparse tutto intorno... Soldati, popolani, allevatori, contadini, bambini, vecchi e in tutte si ritrovava un'espressione di muto orrore. Le megere avevano mietuto molte vittime.
Quando fummo certi che la campagna circostante fosse sicura, scrutammo un po' meglio il perimetro del tempio. Scoprimmo sul fianco ovest della struttura un pozzo semi sepolto dalla neve e sul lato est una sorta di botola coperta da due portelli di legno. Anche se la nebbia ci aveva impedito di vederle, sicuramente una o più delle creature improvvisamente apparse era sbucata da lì, perché erano chiaramente visibili tracce nella neve fresca. Mentre un'altra coppia di tracce proveniva dal tempio stesso. Il colonnato laterale era in più punti crollato, ma il tetto e le pareti della camera sacra erano ancora erette e ricoperte di rampicanti innevati. Sul lato nord c'era una larga apertura che si infilava all'interno. Oltre la soglia, non riuscimmo a scorgere nulla, a causa del buio.
Infine ci ritrovammo tutti in circolo intorno ad un fuocherello acceso da Adeone, ad una trentina di metri dall'entrata, per decidere cosa fare a questo punto.
Parlo con gli stranieri attorno al fuoco, mangio il mio pasto.
Mi siedo vicino a Rebecca, per parlare con lei e vedere se riesco a farmi mostrare i guanti
Adeone siede e mangia. ogni tanto si guarda attorno per vedere se qualcosa colpisce la sua attenzione.
Prima di sedermi al bivacco con gli altri, cerco di prendere in disparte Adeone, bastano un paio di minuti mentre perlustriamo l'area attorno al tempio, per chiedergli informazioni riguardo ai suoi 'compagni'.
Poi vado a sedermi a mangiare con gli altri: non avendoli mai visti prima, mi siedo vicino a Plamir, e senza dare troppo nell'occhio diciamo che faccio in modo di avere sempre pronto alla bisogna il pugnale che porto alla cintura.
Nel mentre il gobbo così parlava alla nostra compagna Rebecca, il suo servitore mostruoso, avvolto nei cenci che lo ricoprivano completamente, inciampò e cadde nella neve. Il cappuccio che lo ricopriva si abbassò rivelando una testa verde e calva, orecchie, occhi e naso deformi, una dentatura fatta di zanne e numerosi bubboni marroni... era un vero mostriciattolo e tutti fummo colpiti dalla sua bruttezza. Rebecca però, per un istante, rimase con lo sguardo fisso negli occhi della mostruosa creatura e vide un qualcosa, un segreto nascosto, un ignoto mistero. Poi la creatura si affrettò a ritirare su il cappuccio e ricoprì la sua bruttezza.
Rimango in silenzio seduto vicino al fuoco. Non amo molto raccontare la mia storia e la mia "disavventura". Mantengo la guardia alta e presto attenzione all'ambiente circostante. Sono poco sereno.
Si siede con calma vicino al fuoco, non molto lontano dalle persone che parlottano tra loro, anche se la sua attenzione è sull'essere incappucciato che poco dopo inciampa. Lo scruta circospetto per carpirne i segreti, nel fare trova delle vaghe somiglianze con se stesso con il suo fare da uno che non vuole essere scoperto. Naturalmente lo osserva cercando di non dare nell'occhio, distogliendo di tanto in tanto lo sguardo facendo finta di posare gli occhi altrove, ma l'attenzione è tutta per quella creatura.
Umba, subito dopo aver intimato ai due di deporre le armi e sedersi davanti al fuoco, coglie l'occasione per castare un ESP e vedere se mentono...innanzitutto su possibili armi/oggetti magici che potrebbero recarci danno. Di seguito effettua tutta una serie di domande (anche apparentemente stupide e banali) per capire se mentono o meno e, nel caso, carpire cosa sanno e cosa non sanno circa la nostra ricerca di Gregor.
Umba Kini, stufo della superficiale allegrezza manifestata dalla coppia del gobbo e del suo stravagante servitore, intimò loro di sedersi e deporre le armi. Plamir non fece obiezioni e dichiarò di non avere armi e di non essere un uomo "fisico", e sorridendo si sedette vicino al fuoco. Il mago voleva sincerarsi che i tre nuovi venuti non fossero ostili, perciò si concentrò per salmodiare un suo arcano incantesimo che gli avrebbe permesso di penetrare le menti dei nuovi venuti. In un primo momento nella sua mente avvertì un guazzabuglio di voci e pensieri... tutto il gruppo era nel raggio di azione del suo incantesimo, quindi avvertiva i pensieri di tutti.
Umba fu costretto a dedicare un altro minuto per concentrarsi ancora meglio e focalizzare la sua attenzione su Plamir, il quale nel frattempo aveva tirato fuori del cibo da un fagotto cencioso e si era messo serenamente a consumarlo. Aveva anche richiamato il suo servitore Gretchin e lo aveva fatto sistemare al suo fianco. Passavano i secondi. Umba digrignava i denti in uno sforzo di concentrazione frustrata, una goccia di sudore imperlò la scura pelle dell'ampia fronte dell'incantatore. Non riusciva a identificare i pensieri di Plamir. Ad un tratto il gobbo si voltò verso Umba, sorrise soddisfatto, si tolse dal collo un medaglione e parlò.
Umba a quel punto non ebbe difficoltà a udire il flusso di pensiero del gobbo... e il gobbo, mangiando serenamente e mantenendo il silenzio, intavolò una complicata descrizione mentale elencando i migliori modi di interrogare un soggetto tramite ESP evitando innanzitutto e preliminarmente di far sapere al soggetto che si stava cercando di interrogarlo tramite penetrazione del pensiero. Elencò enciclopedicamente i casi di maggior rilievo nell'utilizzo dell ESP e si soffermò in particolare su quella che era una delle precauzioni fondamentali, ovvero di salmodiare il canto davanti al soggetto, precauzione da adottarsi sempre per evitare di mettere sull'avviso potenziali nemici dotati di poteri magici e auto-trasformati in apparenze innocenti, quali contadini, allevatori, artigiani, vecchi, bambini o anziane signore.
Era infatti cosa nota che un esperto di penetrazione del pensiero consapevole di un tentativo di penetrazione ai danni della sua mente poteva controllare il flusso dei suoi pensieri per convincere il suo "ascoltatore" mentale di qualsiasi cosa, portandolo a vedere e sentire i pensieri decisi e non i pensieri istintivi e naturali.
Al termine di questa didascalica sequenza di pensieri, Plamir concesse a Umba un tuffo mentale nei ricordi della sua storia fatta di orribili sofferenze, con particolare attenzione alle violenze paterne che lo avevano trasformato in gobbo, la fuga e le grandi difficoltà affrontate e superate per mettere insieme le conoscenze necessarie a diventare un incantatore.
Plamir condusse poi Umba nei suoi ricordi più recenti mostrandogli come avesse fatto conoscenza con l'orrido Gretchin e come, dopo averne sondato la mente, avesse ritrovato pensieri eccelsi in quella mente racchiusa in un corpo mostruoso e avesse perciò deciso di portarlo con sé invece di ucciderlo, curioso e desideroso di scoprire l'origine di questo misterioso fenomeno. E infine come nei giorni precedenti avesse trovato Mario bloccato in un crepaccio, sommerso nella neve e quasi morto per il freddo, e di come lo avesse curato, guarito, e rimesso in piedi.
Infine il gobbo si rimise il medaglione al collo e sorrise nuovamente ad Umba.
Adeone continua a mangiare e ascoltare i discorsi del gruppo. nonostante la sete di avventure e la voglia di stare in compagnia (sopratutto di Finn) anche lui è curioso di sapere cosa ha spinto i suoi amici in queste lande.
Grata a Umba per aver bloccato l'irruente insistenza di Plamir mi risiedo attorno al falò e ascolto i discorsi di tutti chiacchierando del più e del meno e osservando incuriosita il misterioso Gretchin.
Chiedo a Plamir tutto ciò che sa su Gregor (storie, miti e leggende incluse). Gli mostro anche la mappa che abbiamo comprato e gli chiedo in che direzione potrebbe trovarsi la dimora di Gregor. Inoltre, visto che mi pare abbia una certa confidenza con le arti magiche, gli mostro il ciondolo/balestra, per vedere se lui ne sa qualcosa in più.
Rimane al suo posto con la solita aria seria, osservando e consumando il suo pasto con calma. Guarda il fare di Umba incuriosito, ma ben consapevole di cosa possono fare le sue magie, questo però non lo distrae dal suo intento di tener sott'occhio l'essere incappucciato.
Un po' più sollevato, comincio a mangiare assieme agli altri. Ascolto quanto si dirà su Gregor e come sempre resto in attesa di un piano brillante di Umba (ma anche Peloter mi ha sorpreso diverse volte per arguzia) per vedere come arrivare al nostro scopo.
Ci ritrovammo così tutti seduti intorno al fuoco. Un attimo di silenzio calò fra noi. Il vento stava spazzando via con dolcezza le ultime nebbie. La bianca campagna intorno a noi era silenziosa e piatta, interrotta solo dalla mole del tempio e punteggiata di tetre statue. Poi il fuoco scoppiettò, mentre Adeone si adoperava per tenerlo vivo. E il gobbo iniziò a parlare
Rebecca si oppone strenuamente all'esplorazione del tempio: non è lo scopo del gruppo e li esporrebbe tutti a un nuovo attacco da parte delle meduse mettendo a repentaglio la riuscita della missione. Se proprio vorranno esplorarlo, lei rimarrà nella retroguardia per poter fuggire qualora le meduse dovessero ricomparire: "C'è un regno da salvare. Non serve a nulla schiacciare altre teste di serpente!" esclama a chi vorrà ostinarsi ad esplorare le rovine.
Nessuno, tranne Rebecca, riuscì a notare nello sguardo del fiero Mario un lampo di disperazione, un silenzioso urlo, l'aggrapparsi ad una fievole eppur viva speranza. Per un istante la sacerdotessa sprofondò nell'abisso dell'anima esotica dello straniero e la sua mente fu invasa da un turbine di immagini, sensazioni, visioni. Vide terre lontane, una immensa città marmorea, folle di uomini con strani abiti e tuniche, eserciti disciplinati, stendardi purpurei che si innalzavano su orde di nemici abbattuti, l'abbraccio sensuale di una donna, edifici eleganti e ciclopici, le mani di un bimbo, un spada che penetrava nella carne, una sala circolare piena di uomini eleganti. Poi tornò in se stessa e capì che la pressione di Mario il tempio era in qualche modo legata a quello che lei aveva appena immaginato.
Stimolati dalle domande di Plamir, ci mettemmo a discutere sul da farsi. Alcuni di noi sembravano intenzionati a esplorare il tempio ma Rebecca si oppose strenuamente all'esplorazione del tempio sostenendo che non fosse lo scopo del gruppo e che esporrebbe tutti a un nuovo attacco da parte delle meduse mettendo a repentaglio la riuscita della missione. Aggiunse anche che se qualcuno di noi avesse proprio voluto esplorarlo, lei sarebbe rimasta nella retroguardia per poter fuggire qualora le meduse ricomparissero. "C'è un regno da salvare - esclamò infine - Non serve a nulla ostinarsi a schiacciare altre teste di serpente!" Pertanto il gruppo, ascoltando la veemente esortazione di Rebecca, decide di riprendere il cammino verso la capitale.
Umba suggerisce di riposare prima di incamminarsi.
Se ci riposiamo sicuro non lo facciamo nelle vicinanze del tempio se lo facciamo nelle vicinanze del tempio lo esploriamo.
Adeone suggerisce di incamminarsi e fermarsi a riposare quando fa buio.
Umba è d'accordo con Adeone. Ci si avvia ed appena si trova un luogo sicuro si riposa. Anche lo Sparviero è d'accordo con Rebecca: nulla è più importante al momento del ritrovamento di Gregor, e quindi rimette i suoi oggetti nello zaino ed è pronto a partire!
Mario è attratto dal tempio. Da quando è arrivato fuori non fa altro che guardarlo, vuole entrare. E' alla ricerca di qualcosa e quel qualcosa potrebbe essere lì dentro.
Peloter combattuto, decide di far "vincere" la parte di sé che è d'accordo con Rebecca e quindi dopo un po' di riposo è pronto a ripartire insieme ai compagni verso la capitale.
Il pasto era terminato. I discorsi erano stati fatti. Il fuoco ormai languiva per mancanza di nuova legna da divorare. Le esortazioni di Rebecca erano state efficaci. Ci risolvemmo a ripartire. I cavalli si erano riposati e avremmo potuto anche percorrere un buon pezzo di strada, verso la capitale. Questa volta speravamo di riuscire a mantenere la direzione, per evitare di perderci ancora. Mentre ciascuno preparava la sua roba e ci apprestavamo a rimontare a cavallo, ci rendemmo conto che Mario era rimasto impalato, a osservare il tempio, come trasognato. Il suo pennacchio rosso porpora svettava, risaltando sul bianco della campagna circostante. Plamir e il suo orrido servitore erano al suo fianco.
Plamir, con un sussurro quasi impercettibile, disse all'esotico combattente: "Mario, io ho deciso di accompagnarti, se deciderai di rimanere io sarò al tuo fianco. Ma questi sembrano avventurieri che faranno grandi imprese, e non sarebbe male prendervi parte, come ho detto, non sarebbe male, se avessi detto sarebbe bene, sarebbe stato equivalente. Decidi tu. Abbiamo solo un problemino, sì sì. Se decidiamo di rimanere, e non chiediamo un passaggio a cavallo..ecco, noi siamo vistosamente a piedi... mentre loro... hanno vistosi e comodi cavalli. Non li rivedremo più. Cosa facciamo?"
Mario guardando Plamir negli occhi: “Ti ringrazio per i tuo sostegno. So che posso contare su di te e Gretchin. Loro hanno viaggiato per tutto questo tempo senza di noi e se hanno veramente bisogno del nostro aiuto ci aspetteranno. Sanno quanto realmente possiamo essere utili. Io al momento devo capire cosa mi è successo e se c’è anche una piccola possibilità che questo tempio possa darmi una risposta, io devo entrare. I cavalli li troveremo anche noi. Te lo prometto!”
Si volta, sfodera il suo gladio e si dirige verso l’ingresso del tempio.
Peloter ormai convinto della sua decisione, decide di lasciare i dettagli ad altri e con il proprio zaino in spalla procede a seguire il gruppetto che vuole andare verso la città.
Rebecca, mentre stava già per montare a cavallo, percepì improvvisa e distinta una folgorante emozione. Era un dissidio profondo e riconobbe uno di quei momenti, rari ma preziosi, in cui i sentimenti del Plenipotente si dischiudevano nel profondo della sua anima, celebrando la promessa del Dio alla sua fedele seguace. Ma il sentimento provato non era di gioia, e di piena e felice unione. Era invece un profondo e doloroso dissidio. Da un lato ella era certa che la sua determinazione a proseguire la missione senza inutili indugi fosse pienamente approvata dal Plenipotente e che seguendo quella strada, lo stesse onorando e rendendo fiero di averla scelta come sua sacerdotessa e profetessa. Ma dall'altro non riusciva a capire perché fosse scossa. Sondò la sua stessa anima, cercò di portare luce sul magma dei suoi sentimenti. Emerse una forma. Era una forma di repulsione profonda all'idea di abbandonare al suo destino quel Mario, benché fosse uno straniero appena conosciuto. Era certa che quell'inaspettato sentimento di repulsione a lasciarlo lì, in balia della sua nascosta disperazione e del suo inesprimibile terrore, fosse un sentimento nato in lei proprio in virtù del legame che lei aveva con il suo Signore. E si interrogò sul come poter appianare quel dissidio.
Peloter ormai convinto della sua decisione, decide di lasciare i dettagli ad altri e con il proprio zaino in spalla procede a seguire il gruppetto che vuole andare verso la città. Umba memorizza gli incantesimi e poi è pronto a partire per la capitale. Se ci siamo in qualche modo riposati, dopo le preghiere del mattino anche Rebecca è pronta per partire. Lo Sparviero ripulisce e ripone con cura le sue armi nel fodero. Se, mentre gli altri pregano o preparano incantesimi, puó provare a cacciare, lo fa. Altrimenti, preparato il cavallo, carica i suoi bagagli ed aspetta la partenza. Se ho tempo e siamo ancora vicini al tempio vorrei esplorarlo, preferibilmente non da solo. Altriemmti mi unisco al gruppo
Mario, dopo aver risposto al nostro mago, si diresse verso l'entrata del tempio. Plamir e il suo sgangherato servitore lo seguirono. Rebecca e Peloter erano già rimontati a cavallo e fremevano per partire. Lo Sparviero, Umba, Adeone, Bon Habibulo, Finn e Grualdo non sentivano l'urgenza che aveva spinto Rebecca e Peloter ad affrettare la partenza ed erano ancora alquanto indecisi, ma spronati da Rebecca, stavano montando a cavallo, senza fretta.
Bon Habibulo desiderava che Mario si unisse al gruppo in nome della divina Amicizia. Intuì che l'esotico guerriero era spinto verso il tempio da qualcosa di più che pura curiosità o semplice desiderio di razzia. Come sacerdote della dea Aditya non avrebbe perso tempo con lui se questi fossero stati i suoi obiettivi, ma comprese che c'era qualcosa di più. Anche se non sapeva esattamente cosa, sentì che il vero orrore è lasciare un possibile amico in balia delle sue ansie, per quanto strane o immotivate. Pensò che l'orrore vero non è nei terrificanti lineamenti di una creatura mostruosa, ma nella incomprensibile distanza che a volte si crea fra anime umane. Ispirato dalla sua dea escogitò quindi un sistema per dargli qualche minuto e permettergli di gettare un'occhiata al tempio evitando così che il gruppo a cavallo si distanziasse subito troppo.
Richiamò l'attenzione di Peloter e Rebecca, che già avevano percorso qualche metro a cavallo. Attese lunghi secondi e aspettò che la sacerdotessa tornasse indietro per ascoltarlo. Poi parlò a tutti sostenendo che già una volta c'eravamo persi per strada finendo per sbaglio in questo pericoloso tempio abbandonato, perciò era probabile che avremmo potuto perderci ancora e ancora, senza arrivare mai alla torre di Gregor e ritardando, per questo motivo, la riuscita della nostra missione di aiuto al Regno. Sostenne poi, con lunghi ed ermetici giri di parole, che i nuovi arrivati, benché sconosciuti, sembravano poter diventare ottimi compagni in questa avventura. Elencò le loro numerose (ed ipotetiche) virtù. Infine disse che avendo al nostro fianco Plamir, nativo del regno di Ptesport, avremmo sicuramente fatto un viaggio più sicuro ed evitato di perdere la strada. Questa argomentazione non cadde nel nulla. Grualdo e Finn, cogliendo al volo l'occasione ed avendo intuito l'intenzione di Bon Habibulo, si erano già staccati dal gruppo per raggiungere Mario e gli altri che si dirigevano al tempio. Habibulo utilizzò la sua migliore retorica per allungare il brodo oltre ogni limite, ma utilizzando, come base, una verità. Tutti comprendemmo che in effetti una guida avrebbe potuto farci comodo e avrebbe aumentato le nostre possibilità di successo, per non parlare di un altro guerriero a rinforzare le nostre fila. Un guerriero anche forte, a giudicare dalle apparenze.
Nel frattempo che Habibulo parlava, Mario stava già arrivando innanzi alla soglia del tempio mentre Grualdo e Finn li avevano quasi raggiunti. Il tempio era silenzioso. Mario osservò l'entrata oscura nella camera sacra, la botola laterale sulla sinistra e il pozzo sulla destra delle rovine. Notò con piacere che Grualdo e Finn lo avevano quasi raggiunto. Osservò Plamir, al suo fianco, e percepì la paura di Gretchin, che già tremava. Poi prese la sua decisione.
Sono costretta a seguire i miei compagni visto che orami quasi tutti hanno deciso di seguire un perfetto (quanto amichevole) sconosciuto in un tempio potenzialmente pieno di pericolose meduse.
Adeone si dirige verso la parte est del tempio per controllare la botola.
Lo Sparviero si gira sul suo cavallo, in direzione di Mario e dei due sacerdoti che a questi si erano un po' più avvicinati.
Piuttosto contrariato dalla piega presa dagli eventi, richiama all'ordine i compagni, ricordando loro che la loro missione è un'altra!
Se vede che i compagni tornano suo loro passi, se ne rallegrerà e proseguirà verso la torre di Gregor come da programmi; se i compagni volessero rimanere lì...eh, la squadra è importante, e di certo non può abbandonarli in quel posto potenzialmente molto pericoloso. Tornerà indietro, legherà il cavallo in un posto sicuro a qualche decina di metri da lì, per decidere come muoversi.
Peloter va a dare man forte a Lo Sparviero e si affianca col suo cavallo al cavallo del compagno. Anche lui vuole andare e conferma che quella deviazione imprevista per tornare a esplorare il tempio non gli piace. Se fosse stato solo Mario a dirigersi al tempio, non avrebbe avuto dubbi sul partire subito. Ma anche lui, vedendo i suoi compagni Adeone, Grualdo e Finn dirigersi al tempio, diventa dubbioso. "Come sempre!" dice allo Sparviero e agli altri compagni "Quel grassone di Grualdo e la sua dolce e innocente Finn! Fanno i furbi per infilarsi a cercare tesori! Se lo meriterebbero, ma alla fine non me la sento di lasciarli qui. Anzi, suppongo che a breve avranno bisogno di aiuto... che facciamo?"
Mi rivolgo a Peloter con tono contrariato: "Sono stufa di perdere tempo in chiacchiere. Non siamo giunti fin qui per saccheggiare templi antichi. Le vostre azioni offendono il Plenipotente. C'è un regno da salvare insieme con migliaia di vite umane che potrebbero scampare ad una terribile guerra civile. Rimani qui con loro se lo ritieni opportuno, Peloter, ma sappi che non otterrai il favore degli dei. Sparviero, sono stufa di tergiversare oltre" e parto a cavallo verso la città.
" (Alessio)Quattro ore dopo Rebecca, Umba, Lo Sparviero e Peloter erano accampati in un avvallamento. Erano partiti ed avevano cavalcato verso quello che speravano fosse il nord, alla ricerca della strada che portava verso la capitale. Non era facile orientarsi in quella terra innevata, ma usando la mappa di Umba e seguendo le loro stesse tracce d'andata, trovarono il punto dove supponevano di aver smarrito la strada piegando invece verso sud-est, verso quel maledetto tempio.
Credevano di aver ritrovato la strada, ma il crepuscolo aveva iniziato ad oscurare il mondo e decisero di accamparsi lì. Umba aveva la tenda, quindi loro poterono montare il campo e prepararsi ad affrontare la notte al caldo. Stabilirono i turni di guardia. Rebecca aveva il primo. Gli altri si ricoprirono con tutto quello di cui disponevano e si sdraiarono. Umba, il più ansioso di dormire, prese sonno in pochi secondi. Peloter e Lo Sparviero si scambiarono qualche sussurro prima di scivolare nel sonno. Rebecca si dispose a guardia appena fuori dell'ingresso della tenda, per ascoltare, controllare e... riflettere.
Si chiedeva cosa stessero facendo, a quest'ora, i suoi compagni. Si chiedeva come avrebbero fatto a superare la gelida notte, non avendo la tenda. E chi era quello straniero? E come stavano i suoi amici. E cosa avevano trovato, nel tempio? Qualcosa di importante, o solo tesori, o niente? E chissà se stavano tutti bene. Ma sì, sì, erano forti ed esperti. E se ci fossero dei feriti? Beh, c'era quell'infedele di Habibulo, con loro. Ma se avessero trovato altre di quelle immonde creature? Si sarebbero ricordati di non guardarle? E se qualcuno di loro fosse stato pietrificato? O peggio, se fossero tutti morti?
Si ripeteva, dopo ogni domanda, che erano loro ad aver sbagliato, che erano loro che non l'avevano ascoltata. Era certa, certissima che lei - e gli altri che erano con lei - invece avessero ascoltato la volontà del Plenipotente. Si ripeteva che andare verso la capitale senza perdere tempo con inutili deviazioni era la cosa giusta da fare, la cosa che il Plenipotente preferiva. Era certissima di aver così adempiuto al desiderio del Plenipotente. Lo sapeva, ne era certa e sentiva che questa certezza non era una sua invenzione ma era saldamente radicata e confermata da Lui.
Eppure... Perché Egli non le dava gioia e sicurezza? Perché non la abbracciava con il suo caldo senso di protezione e conforto? Perché continuava a sentire nella mente un tarlo, un implacabile dubbio, un qualcosa che rodeva senza sosta la sua serenità, come un topo che rosicchia la carne di un prigioniero impossibilitato a muoversi, costretto a osservare l'insensibile roditore che banchetta con le dita dei suoi piedi... Perché Egli la torturava così? Cosa altro avrebbe dovuto fare? Cosa? Cosa? Egli era un Dio amorevole, caritatevole... ma era anche esigente... Ma lei, cosa altro avrebbe potuto fare?
Habibulo aveva osservato i suoi quattro compagni andare via. Il suo tentativo non era stato sufficiente a farli rimanere. Capiva lo zelo di Rebecca, ma la sua saggezza gli suggeriva anche che una guida era sicuramente una garanzia molto utile per raggiungere il loro scopo. Si voltò, vide i cavalli di Grualdo, Finn, Adeone e il suo che si agitavano. Li legò ad una statua, e si diresse verso il tempio.
In quel momento lo straniero - Mario Caio Appiano, che strano nome... - stava entrando nell'oscura apertura del tempio seguito da Plamir che reggeva una torcia e dal suo servitore, e poco dietro Grualdo con l'inseparabile Finn. Il suo pennacchio rosso sparì nell'oscurità. Adeone intanto stava controllando la botola. Si girò, alzò lo sguardo, comprese che i suoi compagni erano partiti, notò il sacerdote ed a gesti cercò di spiegargli che la botola sembrava chiusa, poi tornò a guardare in basso verso l'apertura. Habibulo, senza fretta, si incamminò verso Adeone.
La luce della lanterna rischiarò un po' le tenebre che regnavano indisturbate all'interno della camera sacra del tempio. Mario si ritrovò davanti agli occhi uno spettacolo raccapricciante. Era come se guardassero lui. Un coro di volti terrorizzati, urlanti, impazziti. Il tempio era pieno di sacerdoti pietrificati che osservavano, muti, l'ingresso.
Appartenevano ad un culto a lui sconosciuto, ma Plamir li riconobbe e, osservando la perplessità di Mario, sussurrò: "Erano seguaci di Aghio Teio, sì sì, è un divino affiliato al culto dell'Unico Creatore, che poi è la religione più diffusa nel regno di Ptesport. Il loro capo spirituale è Saamada Brudi, al tempio maggiore, nella capitale, sì sì, certo, ma loro sono qui, non lì, altrimenti sarebbero stati lì. Almeno come statue avrebbero potuto stare lì, sì, e non qui, cioè io li avrei portati lì se avessi potuto."
Tutti erano stati colpiti di sorpresa. I volti erano deformati dallo stupore e dal panico. Sembravano essere stati colti durante una funzione perché erano disposti in una strana formazione. Dalla direzione dei loro sguardi si capiva che le mostruose creature dovevano essere spuntate proprio dall'ingresso, cogliendoli di sorpresa. Sembrava una scena di un teatro degli orrori, o la folle opera di un grandissimo scultore.
Mario si fece strada aggirando il gruppo di sacerdoti pietrificati, seguito dagli altri. Perlustrarono il tempio. C'era un altare vuoto, posto al di sotto di una scultura in legno raffigurante - presumibilmente - Aghio Teio. Il divino appariva in tunica bianca, ma la statua era stata sfregiata nel volto e insudiciata. Per il resto ovunque erano disseminate panche fracassate, mobilio e altre suppellettili del culto distrutte. Sulle pareti infine erano visibili delle nicchie incassate, loculi di circa due metri di larghezza, in cui probabilmente ciascuna delle mostruose creature aveva ricavato la propria dimora personale.
Controllo le nicchie affinché non ci siano altre mostruose creature che possono coglierci di sorpresa.
Adeone era un po' triste per la dipartita degli amici ma la sete di avventura aveva preso la meglio. Si trovava d' accordo con la decisione di Bon Habibulo nel aver bisogno di una guida, anche per questo si era deciso a rimanere. Adeone prova a aprire la botola. se non ce la fa si reca all'interno del tempio.
Grualdo, se non lo aveva già fatto sfodera la spada e si guarda intorno, cercando di capire come aprire la botola, lancia uno sguardo a Finn e come sempre spalla a spalla prova ad aprire la botola solo con la forza, se ci riesce Grualdo vede cosa accade altrimenti iniziamo a girare per il tempio, cercando di trovare meccanismi, qualora ve ne fossero, per aprire la botola. inutile dire che è meglio non restare tempo inutile in un simile cimitero, e non appena abbiamo fatto quello che c'era da fare, raggiungiamo i nostri compagni che si sono avviati
"Grualdo non ti preoccupare! adesso vado in giro e perlustro, non ti farò mordere di nuovo dalle bestiacce!" Detto ciò Finn entra nel tempio perlustra l'area con gran circospezione. Mentre osserva l'area, si rivolge al guerriero "Mario dicci cosa stiamo cercando qui! fidati di noi! saremmo più veloci se sappiamo cosa dobbiamo trovare...hai perso una persona cara?" e poi a bassa voce rivolgendosi a Plamir "dai Plamir, Rebecca adesso ci ha lasciato, perché volevi vedere i suoi guanti con tanta insistenza? cosa pensi che siano?"
" (Diana)Mario non rispose alla domanda di Finn, rimase pensieroso e concentrato. Plamir invece, guardando la leggiadra Finn sorrise e sussurrò "Angelica signora, in realtà curiosità, pura curiosità, sai, erano chiaramente guanti dotati di particolari poteri poiché il vostro nero amico glieli ha passati dicendo che sarebbero stati utili nelle future imprese. Se avesse detto inutili o caldi sarebbero stati ordinari, ma invece ha detto utili, quindi ho dedotto che dovevano essere portentosi...avrei sperato di poterli osservare da vicino, ma la diffidenza del Mago deve aver contagiato la dolce sacerdotessa, presumo."
Il silenzio calò nuovamente all'interno del tempio. Finn effettuò una seconda e più accurata perlustrazione accompagnata da Grualdo che, con la spada sguainata e lo sguardo vigile, faceva la scorta alla sua amata. I due però non trovarono nulla di importante o di interessante. Mario invece ispezionò con cura le numerose nicchie poste nelle pareti. Erano sei su ogni lato e quasi tutte occupate da una medusa poiché sembravano giacigli, o più correttamente "nidi", poiché per creare un tappeto morbido erano stati usati arbusti e paglia.
Quando Mario raggiunse l'ultima nicchia sul lato est del tempio fu colto da un attimo di terrore poiché la lampada di Plamir, che lo seguiva, aveva illuminato la sagoma mostruosa di una testa irta di serpenti. Mario aveva reagito d'istinto per colpire fulmineo l'immonda creatura. Il suo braccio s'era fermato solo un istante prima dell'impatto fra la lama della sua daga e la roccia. La creatura era infatti pietrificata, di spalle. E davanti a lei c'era uno specchio.
"Ah, mhh, sì, sì." aveva mugugnato Plamir "Probabilmente questa malefica creatura è entrata nella nicchia per appropriarsene ma non ha visto che c'era uno specchio e si è pietrificata da sola! Eccezionale, veramente, eccezionale. Sì sì. Se non fosse eccezionale avrei detto ordinario, ma ho detto eccezionale, se non sbaglio."
Intanto all'esterno Adeone e Habibulo stavano ancora controllando l'area della botola. Osservavano il pesante pannello di legno rinforzato che la serrava. Alla fine Adeone aveva deciso di provare ad aprirla, si era chinato e aveva tirato l'anello che serviva per sollevare il pannello. La botola risultò chiusa da qualche pesante chiavistello poiché il possente guerriero non riuscì a smuoverla neppure di poco.
Purtroppo era bassa e obliqua sul terreno quindi Adeone non poteva neppure provare a sfondarla. Il guerriero si rialzò e guardo Habibulo. Habibulo lo osservò come si osserva un caso strano. Poi disse: "La fortuna dei valorosi e incoscienti, a cui il fato sempre arride, ti circonda, o impavido Adeone. Vedevo trappole, vedevo inganni, vedevo la morte o il dolore. Invece erano solo illusioni, perché se ci fosse stata una trappola a quest'ora saresti stato colpito."
Nel mentre terminava queste parole i due furono raggiunti da Grualdo che aveva intanto lasciato Finn e gli altri nel tempio che sembrava libero da pericoli e aveva raggiunto i compagni all'esterno intorno alla botola. Grualdo con fare spazientito spostò Adeone lasciandogli intendere con lo sguardo di essere una femminuccia. "Ecco un altro incosciente" aveva detto Habibulo mentre Grualdo si chinava per provare a forzare la botola, incurante della possibilità che vi fossero trappole o meccanismi a difesa del varco.
Adeone anche se seccato dalla frecciatina aiuta per quanto può Grualdo. Se non si riesce a aprire la botola Adeone si dirige verso il pozzo a vedere cosa c'è.
esco e raggiungo grualdo, gli dico di aspettare ed essere paziente e perlustro la botola alla ricerca di trabocchetti. poi lo cazzeo con fate arrabbiato e dolce e gli dico che mai deve forzare una botola senza che io mi assicuri che é senza pericolo e glielo faccio giurare
Finn aveva concluso la sua ispezione e aveva deciso di raggiungere il suo inseparabile compagno all'esterno. Mario e Plamir erano perciò rimasti soli all'interno del Tempio. Contemplarono ancora per qualche istante la terribile forma della medusa pietrificata, poi Plamir si decise a infilarsi nella nicchia per staccare lo specchio dalla parete. "Potrebbe sempre tornarci utile, sì sì" disse, e se lo mise sotto braccio nonostante fosse alquanto ingombrante. Infine, considerato che nel tempio non sembrava esserci altro di interessante, decisero di uscire e raggiungere gli altri alla botola.
Grualdo intanto si stava sforzando come non mai per scardinare il possente pannello di legno rinforzato, ma non vi riuscì finché il suo tentativi non fu coadiuvato da Adeone che afferrò l'anello e fece forza sulle gambe. I due possenti guerrieri, unendo le forze, riuscirono a far cedere il chiavistello che si spezzò. Il pannello di legno fu rovesciato spalancando l'ingresso di una cripta sotterranea e oscura. Finn, che era appena giunta, sorrise ai due, i quali si scambiarono un'occhiata di profonda gelosia mista ad una inaspettata complicità, per il piacere d'aver vinto insieme, con la loro potenza, l'ostacolo. Lo sguardo di Adeone, brillava della gioia d'esser stato risolutivo davanti agli occhi della bella e desiderata ragazza, mentre gli occhi di Grualdo scintillavano per l'orgoglio di non aver avuto bisogno di utilizzare le doti della compagna.
Ma di tutti questi lambiccamenti Finn non si accorse. La sua attenzione era tutta concentrata sull'ingresso e non sembrava affatto interessata ai pavoneggiamenti dei due guerrieri. Oltre la soglia lievemente obliqua sul terreno, delle scale larghe un paio di metri scendevano verso il buio. Una folata di odore stantio esalò dal pertugio. Tutti rimanemmo qualche istante a osservare. In quel momento arrivarono anche Mario e Plamir con la lanterna.
il gruppo entra. l'ordine di marcia è mario, adeone grualdo finn bon plamir e gretchin. Gli ultimi 2 nello stesso quadretto che son piccini
Iniziammo a scendere le scale. Mario ci guidava, tenendosi pronto col gladio in mano. Dietro di lui seguiva Adeone e poi, uno ad uno, gli altri. Scalino dopo scalino penetravamo nell'oscurità sottostante. Mario e Adeone ricevevano ben poca luce dalla lanterna di Plamir poiché il gobbo era in coda al gruppo, ma coraggiosamente sfidavano le tenebre quasi complete.
Dopo aver percorso una decina di alti scalini finalmente il suo piede raggiunse un umido pavimento di mattoni. Infine attraversò la soglia di pietra con cui terminava il cunicolo obliquo che ospitava la scala. Alla sua mano sinistra il muro proseguiva dritto davanti a lui, parallelo alla direzione della scalinata, perdendosi dopo poco nel buio.
Alla sua destra invece si apriva un ambiente vasto e oscuro. Mario si girò spostandosi lievemente di lato, per permettere agli altri di scendere e al contempo dare un'occhiata ma il buio non permetteva di scorgere alcunché. Tastando con la mano lo stipite destro del cunicolo, si rese conto che la parete di destra tornava indietro, rispetto alla direzione da cui erano scesi. Si affacciò per dare un'occhiata anche in quella direzione ma non vide nulla al di là della tenue ombra del muro che proseguiva nelle tenebre.
Anche Adeone mise piede nella camera e lasciò spazio a Grualdo, che lo raggiunse l'istante successivo. La luce della lanterna di Plamir si avvicinava, scalino dopo scalino, mentre i tre già nella stanza osservavano con circospezione i dintorni mano a mano che la luce aumentava. Mario alzò lo sguardo e, aiutato dalla luce sempre più forte, si rese conto che il tetto orizzontale del cunicolo era spesso mezzo metro ma non proseguiva come un muro verso l'alto, formava invece un piano obliquo al di sopra della soglia da cui era uscito lui e da cui stavano uscendo gli altri.
E fu a quel punto che avvertimmo un sibilo provenire dall'alto. Sperando di coglierci di sorpresa una di quelle malefiche meduse s'era appostata su quell'alto ripiano e adesso si affacciava puntando il suo micidiale sguardo proprio su Mario. Nello stesso tempo Adeone e Grualdo avvertirono un altro sibilo nell'oscurità a destra e un istante dopo apparvero la testa, i serpenti e i maledetti occhi di una seconda creatura che si lanciava contro di loro.
Colti di sorpresa dall'improvvisa apparizione delle temibili avversarie, i tre guerrieri rimasero inermi di fronte al primo assalto, senza poter reagire in alcun modo. La medusa in alto, sul tetto del cunicolo delle scale, ghignò e ne approfittò per fissare negli occhi Mario. La seconda invece puntò il micidiale sguardo sullo stupefatto Adeone.
Il tempo si fermò, nelle menti di Mario e Adeone. Nello stesso istante in cui gli altri emettevano un singolo respiro, i due videro vortici magmatici e terrificanti provenienti dall'abisso del male, li videro manifestarsi, li videro bene, i due guerrieri, mentre erano aggrediti da quel potere sovrumano e implacabile. Videro spuntare alle creature ali e mani d'oro, e le bocche delle megere divennero suine, mentre spuntava sul loro volto una barba folta e ispida.
Subito dopo esse divennero bellissime, stupende fanciulle, virginali, immacolate. Le serpi si erano tramutate in folte capigliature fatte di boccoli dorati. La coscienza veniva risucchiata verso una confusa e tempestosa ordalia di immagini di amore passionale e desiderio represso, una fame così imperativa e inarrestabile da convogliare verso le fanciulle ogni volontà, un desiderio di assoluto possesso, una bramosia totale però frustrata da quello stesso sguardo che se da un lato invitava, dall'altro respingeva implacabile senza alcuna pietà.
Ed in quel momento ebbero, per un istante fugace, l'ultima flebile possibilità di chiudere gli occhi. Entrambi sapevano di dover vincere se stessi, di dover riuscire in un titanico sforzo per imporre la propria volontà sulla bramosia animale che li spingeva a osservare ancora, per prevalere sul desiderio di avere per sé quella incommensurabile bellezza che nascondeva un terrificante destino di immobilità.
La pelle di Adeone, in pochi secondi assunse un colore grigio e, come disseccata, si irrigidì diventando pietra. Il guerriero rimase immobile, scrutando per l'eternità la medusa che lo aveva sconfitto e che ghignando si spostò di lato, preparandosi a fronteggiare un nuovo nemico. L'altra, che era ben appostata sull'alto tetto del cunicolo, sibilò la sua rabbia per non esser riuscita a fare altrettanto con la sua vittima. Poi entrambe si prepararono ad attaccare nuovamente Mario e Grualdo.
Sollevo il mio grande scudo e proteggendomi con esso carico la prima medusa cercando di spintonarla in terra per poi colpirla con la mia daga.
Finn veloce e con destrezza si fionda da Plamir e gli prende lo specchio per poi puntarlo contro la medusa più vicina a Grualdo.
Plamir passa lo specchio a Finn sussurrando "Si si, certo certo, meglio che vai tu, ma posso aiutarti" poi si prepara a lanciare un incantesimo
Grualdo fa roteare la spada ad altezza collo, gridando ai compagni di abbassarsi ( se la medusa è a portata di spada ) altrimenti si prepara ad attaccare senza guardare in faccia la medusa.
Le meduse furono più leste di noi. Quella in alto sul tetto del cunicolo tentò nuovamente di lanciare il suo micidiale sguardo contro Mario ma rimase delusa ancora una volta perché il guerriero s'era voltato per fronteggiare l'altra avversaria e non la guardava più. Nel frattempo l'altra medusa aveva aggirato la statua pietrificata di Adeone per lanciarsi contro Grualdo. I serpenti sulla sua testa si avventarono contro il possente guerriero riuscendo ad azzannare un polso. La ferita in sé era solo un graffio... ma Grualdo sentì nuovamente fluire del veleno nelle sue vene.
Finn, che aveva preso lo scudo da Plamir e lo aveva puntato contro la medusa, si rese conto che rimanendo lì sulle scale, difficilmente sarebbe stata il bersaglio dello sguardo della medusa e che per mettere in atto il suo piano avrebbe dovuto scendere ed arrivare in prima fila.
Ma intanto Habibulo aveva disceso gli ultimi gradini ed era entrato nella stanza, per invocare, con una preghiera, il potere di paralizzare gli avversari.
La divina Aditya, dea dell'amicizia, colpì le due immonde femmine, paralizzandole. I loro occhi guizzavano ancora, restando capaci di infliggere il loro malefico potere. Resa inerme dalla paralisi, la medusa a terra fu abbattuta dai precisi colpi alla testa di Grualdo e Mario, che la spaccarono e la decapitarono. Rimaneva solo un'orrida nemica, immobile ma furibonda, sul tetto del cunicolo.
Si guarda intorno con circospezione per evitare di essere colti ancora una volta di sorpresa.
Si fa dare lo specchio e lo mostra alla medusa inerme
da lo specchio a Grualdo e chiede disperata di aiutare Grualdo e curarlo dal veleno
Grualdo, preso lo specchio da Finn appena scesa dalle scale per venire in suo aiuto, sfruttò l'immobilità della malefica medusa per piantare lo specchio di fronte al suo sguardo. Qualche secondo dopo la medusa diventò di pietra. Giunse infine il gobbo Plamir, seguito dal suo sbilenco servitore, e con la lanterna illuminò per bene l'ambiente.
Era una cripta larga una decina di metri e lunga poco più. Due grossi catafalchi, sepolture di gente importante, erano posti al centro della stanza. Alcune nicchie erano alle pareti e ospitavano defunti minori, probabilmente sacerdoti del tempio. Sulla parete sud c'era, nell'angolo più lontano rispetto al cunicolo, una robusta porta chiusa. Non sembrava esserci altro pericolo, perciò Plamir avvicinò la lanterna al volto pietrificato di Adeone. "Che peccato - sussurrò - un così bel ragazzo, sì, sì, proprio bello. Se avessi pensato brutto, avrei detto brutto, ma ho detto bello, perché lo era, sì."
Plamir, senza toccare nulla, ispeziona con cura i catafalchi e le nicchie per vedere se trova qualcosa di interessante o di strano.
Guardo i miei compagni ed invito loro a prestare attenzione poi sottovoce dico: “forse è il caso di controllare cosa c’è dietro quella porta”. Mi rivolgo a Grualdo che ha lo specchio e gli dico di tenersi pronto mentre mi dirigo verso la porta. Se ottengo l’attenzione di tutti io tenterei di aprirla.
Finn si diresse verso la porta seguita dall'inseparabile Grualdo ma la leggiadra fanciulla, una volta che furono ad un paio di metri dalla porta, gli piazzò una mano sull'ampio petto dicendogli di aspettare, perché era inutile far scattare una trappola e starci sotto in due. Grualdo protestò, ma parve a tutti noi la milionesima volta che si ripeteva quella scena. Alla fine Grualdo, dopo aver protestato un po' si sarebbe lasciato convincere dalla sua compagna. E così fu. Poi ispezionò la porta. Noi attendevamo con le orecchie tese, per accertarci che non ci fossero nemici o pericoli, ma tutto era silenzioso. Una decina di minuti dopo la ragazza sussurrò che la porta sembrava sicura, infine estrasse dei ferri e con mano esperta armeggiò vicino alla serratura. "Vediamo se il Genio di Finn riesce anche questa volta.. su forza, ispirami, so che ci sei, so che mi ispirerai anche questa volta... " Click. Un leggero rumore rese a tutti chiaro che la serratura aveva ceduto al genio della ragazza che si fece da parte.
Mettiamo in sicurezza questa parte è a questo punto, dopo una breve spiegazione silenziosa andiamo avanti... almeno io e Finn.
....siete in un dungeeeeeoooooonnnnn
Grualdo, presa l'iniziativa, aprì silenziosamente la porta. L'odore di muffa e umidità emerse, insieme all'ombra, dalla stanza che c'era oltre la porta. Plamir sporse la torcia, per fare luce, ed evitare questa volta che qualcuno si avventurasse camminando nella totale oscurità. Oltre la soglia intravedemmo una seconda stanza, più piccola di quella in cui eravamo, all'incirca quadrata. Al centro della stanza, era sistemato un pesante forziere. Altri loculi erano disposti sulla parete ed ospitavano defunti in eterno riposo.
Col fare che non mi si addice, controllo la camera insieme agli altri, laddove ci fossero trappole mortali, o anche solo trappole non mortali. Forziere Viene requisito e si fa il punto della situazione
Grualdo ispezionò la camera illuminata dalla debole luce della lanterna di Plamir. Gli altri, fermi sulla soglia, osservavano il possente guerriero aggirarsi da solo in quella cripta maleodorante. Non c'erano altre porte né passaggi e le uniche cose degne di nota erano le antiche nicchie in cui riposavano i defunti e il massiccio forziere posto al centro della camera. Dopo l'ispezione Grualdo ritenne che la camera fosse sicura. Stette alquanto pensoso a osservare il forziere. Poi, prima che Finn potesse fare alcunché, Grualdo lo afferrò mettendoselo sulle spalle e si apprestò a uscire dalla camera.
Ci ritrovammo al centro della prima cripta, per decidere cosa fare.
Lascio che Finn esamini lo scrigno
Resto guardingo in attesa del movimento dei miei compagni. Io sono favorevole ad andare via, ma se gli altri decidono di rimanere sarò con loro.
Grualdo calò sul pavimento il forziere, e Finn si apprestò ad osservarlo bene, per valutare se fosse dotato di trappole.
Grualdo calò sul pavimento il forziere, e Finn si apprestò ad osservarlo bene, per valutare se fosse dotato di trappole. Mentre la nostra ladra esperta stava cercando di capire, noi rimanemmo tutti fermi, in attesa del suo responso. Il silenzio era totale.
I loculi non sembravano essere stati toccati da secoli, un pesante strato di polvere ricopriva i corpi in tutte le nicchie, tranne una che sembrava recente ma, oltre alla mancanza di polvere, non presentava altri segni o indizi di alcun genere. Nel frattempo Finn terminò la sua ispezione. Il baule non aveva trappole, era semplicemente chiuso.
Concentrata, Finn armeggiò nel buco della serratura del baule. Il ticchettio dei suoi ferri echeggiava nella camera. Dopo qualche minuto Finn sorrise, fece due mosse rapide e con un click fece scattare il meccanismo e aprì il baule. All'interno era conservato quello che doveva esser stato il tesoro del tempo. Oltre a un cospicuo sacco di monete d'oro (nel quantitativo esatto di 6129 monete che sarebbe stato chiaro a chi le avesse contate) c'erano tre gemme, alcuni oggetti preziosi, probabilmente usati nelle funzioni del tempio, alcuni rotoli di pergamena racchiusi con cura in un astuccio di pelle ed una fiaschetta contenente un liquido biancastro.
Questa situazione a Mario non piace. Invito loro a raccogliere lo stretto necessario e ad andar via il prima possibile. Intanto mi avvicino verso il loculo meno impolverato con circospezione e senza fare rumore. anche Finn non vuole stare nel tempio pericoloso e invita a gesti a dividersi il bottino e sempre a gesti spiega che lo studio degli oggetti si può fare un un momento e luogo più adatto. contenta e dagli occhi luccicanti per le monete trovate si appresta ad andare via e invita Grualdo a fare lo stesso
Bon Habibulo guardò tutti con un'espressione indecifrabile e si avviò verso l'uscita. Era chiaro che voleva andare via anche lui. Uscendo si fermò davanti alla statua di Puntaspilli, estrasse dalla sua borsa un nastrino, e glielo legò intorno ad un dito. Poi uscì. Tutti uscimmo trascinando la cassa fuori dalla cripta. All'esterno, mentre Grualdo e Finn dividevano le monete, Plamir si accostò a Mario.
Poco dopo Finn terminò la divisione e compose 5 mucchietti di monete che brillavano nella neve. Ciascun mucchietto contava circa 1200 monete. Rimanevano da dividere le 3 gemme, gli oggetti preziosi, la fiaschetta e il rotolo di pergamena. Habibulo prese i suoi denari, poi prese l'astuccio delle pergamene e la fiaschetta. "Se nessuno ha nulla in contrario, queste le prendo io. Le gemme non mi interessano, potete tenervele. Adesso andiamo. Rebecca sicuramente sarà sconvolta quando scoprirà che abbiamo perso il nostro amico Adeone. Aditya, la dea dell'amicizia, è adirata, senza dubbio molto adirata."
Mentre ciascuno prendeva il suo mucchietto di monete, Mario chiese a Grualdo e Finn se per loro andasse bene che lui, Plamir e il suo deforme servitore si unissero al gruppo. Grualdo e Finn guardarono Habibulo che gli fece un cenno affermativo. Le fila della nostra compagnia si allargarono ad accogliere lo straniero e i suoi due strani compagni.
Iniziammo i preparativi per ripartire, cercando di distribuire tra i cavalli il peso dei nuovi venuti. Ad un tratto vedemmo Habibulo scattare come un forsennato. Prima prese la lanterna di Plamir e poi corse verso le scale della cripta e sparì al suo interno. Aveva aperto l'astuccio, che adesso giaceva a terra. Ci toccò scendere nuovamente nel buio antro. Il sacerdote stava leggendo una antica preghiera da una pergamena e invocava favori in direzione della statua di Puntaspilli.
Qualche secondo più tardi vedemmo la pietra tremolare. Scossa da una potente energia, la roccia iniziò a creparsi e infine si sgretolò come un guscio rotto al cui interno c'era il vero Puntaspilli, in carne e ossa, stordito ma vivo. Non è facile descrivere il senso di sollievo che ci invase. Sapevamo che Rebecca ci avrebbe come minimo scomunicati se fossimo tornati con la notizia di aver perso un compagno nell'impresa da cui lei aveva preso le distanze. Habibulo era al settimo cielo e inneggiava alla dea dell'amicizia mentre scortava Puntaspilli fuori dal buio antro. L'unico ad essere turbato era Grualdo che non sapeva se lasciarsi prendere da una cameratesca felicità o da una torva gelosia. Il suo amico e rivale infatti, era di nuovo fra noi.
Il tempio era stato epurato. Mario non aveva trovato quello che cercava ma avevamo ripulito un luogo maledetto, liberandolo dai mostri che avrebbero potuto mietere altre vittime innocenti. Poco dopo ripartimmo seguendo le tracce dei compagni già partiti. Attraversammo il campo disseminato di vittime pietrificate che ci rattristò. Fummo invasi da un senso di impotenza pensando a quante vite avessero spezzato quei mostri. Infine il tempio divenne una vaga ombra nella nebbia.
I cavalli faticavano, erano pesanti e lenti nella neve. Qualche ora dopo esser partiti comprendemmo che stava per calare il buio ma decidemmo di affrontare l'oscurità e proseguire la marcia finché non avessimo raggiunto i nostri compagni. Sapevamo che camminare di notte in un regno infestato non era proprio consigliabile, ma preferimmo il rischio perché eravamo ansiosi di ricongiungerci con gli altri. E la fortuna ci accompagnò fino al loro accampamento.